I
dirigenti del Consorzio Acquedotto Friuli Centrale (CAFC) devono aver
percepito il diffuso malcontento degli utenti della Carnia, Val
Fella e Resia nei confronti della gestione del servizio idrico dopo
che questo - espropriando le singole comunità della montagna - è
passato prima dai Comuni a Carniacque e poi da quest’ultima al CAFC
spogliando l’intera montagna della gestione del suo bene primario
qual è l’acqua, centralizzandola in quel di Udine e in futuro
nella bolognese multiutility Hera, già ora ben presente in regione.
Infatti
dopo le legnate delle bollette salate cercano di mostrare un
atteggiamento “benigno” verso la montagna disastrata dai recenti
eventi calamitosi. Lo fanno annunciando con diversi comunicati agli
organi d’informazione la rinuncia del CAFC al pagamento da parte
degli utenti prima dell’acqua dei rubinetti per il periodo in cui a
causa dell’alluvione mancava o non era potabile e, dopo qualche
giorno, anche al pagamento delle quote per la depurazione.
Sorge
una domanda: che cosa abbuona il CAFC agli utenti se a seguito
dell’alluvione l’acqua del rubinetto non c’era o non era
potabile e i depuratori non erano funzionanti? Nulla! Poiché non c’è
stata prestazione e quindi nulla è dovuto dagli utenti. Il preteso
“abbuono” del CAFC non può che essere considerato una trovata
ridicola. Montanari sì, ma tonti no.
Anzichè
simili “abbuoni” gli abitanti della montagna si aspettano un
servizio migliore, tariffe incentivanti per viverci, una gestione
decentrata a livello delle locali comunità o delle vallate in cui si
articola la montagna friulana, sì da rendere gli abitanti attori e
partecipi delle decisioni riguardanti un servizio vitale qual è
quello idrico e l’acqua più in generale, bene comune. I bisogni
delle comunità di montagna non si risolvono con il centralismo, ma
con il decentramento a livello locale: lo insegna il Trentino Alto
Adige dove il Comune gestisce l’intera rete idrica e quella
fognaria interna all’abitato, stabilisce la tariffa e la incassa
mantenendo così gli introiti in loco, mentre la Provincia gestisce
la rete fognaria esterna e il depuratore.
Nel
contesto montano non sono applicabili soluzioni “cittadine”. Ne
sono un esempio i contatori applicati alle utenze negli abitati
montani, che sono fonte di una molteplicità di problemi per l’utente
in quanto facilmente soggetti a rotture a causa del ghiaccio con
conseguenti disagi, perdite d’acqua, maggiori costi, tanto più se
l’installazione viene imposta dall’alto senza il coinvolgimento e
la condivisione della comunità locale, come avviene nella Val
Pesarina ed in tante altre località montane dove è regola storica
che le utenze paghino il servizio idrico a forfait.
C’era
un fondamento logico rispondente alla specificità della montagna se
da quando, tanto tempo fa, si è passati dall’erogazione dell’acqua
alla fontana del paese a quella alle utenze singole, se gli
amministratori comunali che si sono succeduti hanno adottato il
pagamento a forfait. Era ed è un fondamento nella cultura montanara,
che è cultura dell’acqua.
I
giusti principi ed intenti della Carta della Montagna appena
presentata dalla nuova Giunta Regionale, tra i quali primeggiano
l’ascolto e la condivisione della gente, richiedono che i gestori
di servizi pubblici in montagna non operino… a modo loro. Il
compito della politica è quello di semplificare la risoluzione dei
problemi dei cittadini, non di complicarli. A maggior ragione se,
abitandovi, “tengono” territori disagiati non abbandonandoli ai
cinghiali e agli orsi.
Comitato
tutela acque del bacino montano del Tagliamento. Tolmezzo
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