giovedì 26 novembre 2020

Le multiutility private all'assalto della montagna - di Laura Matelda Puppini

 

Il 27 febbraio 2017 i Consiglieri regionali Revelant, Tondo, Riccardi, Colautti, Violino, Marsilio, Ciriani, Zilli e Piccin depositavano la Proposta di legge n.193, che prevedeva la costituzione di una società di capitali, a partecipazione interamente pubblica, operante nel settore dell’energia da denominare “Società Energia Friuli Venezia Giulia – SEFVG”.

   Senonché, il 9 giugno 2017 l’Associazione delle imprese elettriche italiane “Elettricità Futura” indirizzava alla Regione una lettera in cui esprimeva la propria contrarietà non solo all’aumento dei canoni concessori, ma addirittura alla costituzione di tale Società regionale. Ebbene, la società SEFVG è ancora di là da venire e la conclusione amara è una sola: i derivatori idroelettrici sono tanto influenti e potenti da imporsi alla Regione e – viceversa – la Regione è succube dei derivatori idroelettrici.

   La stessa situazione si sta verificando in questi giorni a livello nazionale, in relazione alla vigente Legge n.12/2019 che, all’art.11-quater, prevede il passaggio del grande idroelettrico dallo Stato alle Regioni con notevoli vantaggi per i territori montani interessati dalle derivazioni. Ecco che, anche questa volta, le Associazioni dei derivatori idroelettrici “Utilitalia” e “Elettricità Futura”, approfittando dell’esame in Parlamento della Legge di bilancio 2021, indirizzavano una lettera al Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli in cui chiedevano modifiche al vigente art. 11-ter della Legge n.12/2019 a loro vantaggio e a detrimento del ruolo delle Regioni. Richieste di modifiche che, purtroppo, han trovato accoglimento nell’art. 156 del Disegno di Legge di bilancio 2021 del Governo.

   Conclusione amara: i derivatori idroelettrici si sono dimostrati tanto influenti e potenti da imporsi allo Stato e – viceversa – lo Stato è succube dei derivatori idroelettrici. Per fortuna, l’art. 156, durante la discussione di ieri in Commissione Bilancio, è stato stralciato, ma temiamo che si tenti di farlo risuscitare. Le Regioni italiane, che sono riuscite a fare la legge entro il 31 0ttobre 2020, in applicazione della legge 12/2019, dovrebbero gestire da sole, predisponendo delle gare per il rinnovo delle Concessioni scadute delle grandi derivazioni la cui potenza nominale dovrebbe restare di 3 MW, non, come impongono i Derivatori nella letterina al Ministro, di essere innalzata a 10 MW per risparmiare sui canoni e per evitare le gare prescritte: in Italia, infatti sono ben poche le derivazioni con questa potenza.

   Ce n’è più che abbastanza per dire BASTA allo strapotere ed alla prepotenza dei derivatori idroelettrici che sfruttano l’acqua – risorsa prima dei sofferenti territori montani – per portare e l’energia prodotta nelle aree urbane industrialmente sviluppate e i profitti realizzati nelle proprie tasche, lasciando ai territori montani l’elemosina dei sovra – canoni BIM e i fiumi, torrenti e rii senz’acqua ridotti a pietraie.

   Dietro l’inserimento dell’art. 156 nella Legge di bilancio 2021, noi intravediamo l’interessata e potente manina delle grandi multiutility, il cui pacchetto azionario appartiene in larga misura ai grandi Comuni, per lo più della pianura padana. Ebbene, questi grandi Comuni si comportano come predatori nei confronti dei Comuni montani – prede. Ciò è tanto più inaccettabile poiché la gran parte di questi grandi Comuni è retta da amministratori che, per la loro collocazione politica, dovrebbero avere e praticare la solidarietà ed il rispetto verso i loro connazionali che vivono nelle disagiate condizioni della montagna, dalla quale giunge nelle loro case e fabbriche la corrente elettrica.

   È necessario che tutte le rappresentanze istituzionali dei nostri territori montani, indipendentemente dalla loro collocazione politica – parlamentari, presidente, assessori e consiglieri della Regione e sindaci, respingano con decisione questo tentativo delle Associazioni dei derivatori di inserire nella Legge di bilancio 2021 i contenuti dell’art. 156, da loro formulati a difesa del mantenimento dei loro profitti e a detrimento dei territori montani sfruttati. È necessario che chiedano con determinazione che lo Stato, se deve riprendersi la gestione delle grandi derivazioni delle Regioni che non sono state capaci di legiferare entro la scadenza fissata, lo faccia nel rispetto di quanto prescrive la legge 12/2019, non sui suggerimenti dei Derivatori. Parimenti è necessario che i cittadini della Regione, in particolare gli abitanti dei territori montani, si mobilitino affinché la sempre più strategica risorsa acqua sia saggiamente utilizzata a vantaggio loro e della terra in cui vivono e non di speculatori, tanto più se “foresti”.

   I Comitati di difesa territoriale della montagna – come sempre – sono in campo!

Comitati Acque Valcellina e Valmeduna

Comitato per la difesa e valorizzazione del Lago di Cavazzo o dei Tre Comuni

Per il Comitato tutela acque del bacino montano del Tagliamento: Franceschino Barazzutti.»

sabato 14 novembre 2020

Ombre rosse

 

Negli anni sessanta, per arrivare al paesino che si scorge in alto sotto le rocce non c'era altro che un sentiero: un troi che risaliva serpeggiando dal fondovalle affiancato da strapiombi che terminavano tra i massi del fragoroso torrente.

Poco più che bambina, nei giorni di festa la mia amica si inerpicava su per la salita con un fascio di giornali e portava agli abitanti del villaggio -molti anziani che di rado scendevano a valle- l'ultimo numero de "L'Unità" appena arrivato con la corriera del mattino.

Fra tutti i destinatari del quotidiano, Gjéni -emigrato in Francia, provetto suonatore di fisarmonica- è quello che più profondamente si rende conto della straordinarietà di quella consegna e considera con ammirazione quella ragazzina dagli occhi sorridenti che rinuncia a un paio d'ore di svago per fare qualcosa che considera importante.

Le dice "Sai, è tanto che ti guardo arrivare fin quassù e vorrei; vorrei farti un regalo. Dimmi: tu cosa pensi del Partito Comunista?". E' una domanda impegnativa "Penso" risponde lei "che sia una cosa seria".

L'uomo è evidentemente soddisfatto di quello che ha sentito e scompare dentro casa. Si sente che risale la scala di legno; poi si ripresenta sulla porta con un dipinto a tempera racchiuso in una cornice costruita sul suo banco di falegname: il ritratto di Stalin.

Con questa ragazza, ora mamma e nonna di altre giovani donne che trasportano giù per le generazioni i loro occhi sorridenti, scendiamo al piano di sotto a cercare un certo baule e dopo sessant'anni l'astuto vecchio è li. Ha notevolmente sofferto per l'umidità dello scantinato ma i baffi e la capigliatura sono inconfondibili.

Non è per particolare simpatia per il personaggio: è pensando a Gjéni che mi prendo su il vecchio quadro malconcio e recupero il recuperabile con matita e bacchetta per sfumare. Applico una patina di olio di noce che fa riaffiorare i baffi, il ciuffo, i bottoni della casacca dipinti dall' anziano abitante di un paesino, che non ho mai conosciuto e che credeva in quei simboli. Alla fine rimetto in squadra la cornice sormontata dal fregio con la falce e il martello. 

Sono vecchie cose di paese che forse capiamo ormai solo noi ma non so se tutta la paura che si percepisce in giro sarebbe la stessa se non  fosse progressivamente venuto a mancare ogni riferimento -giusto o sbagliato- e non ci si ritrovasse tutti abbastanza smarriti in questa precarietà. E adesso?

Da oggi nei paesini dove ancora dei volonterosi tengono in piedi i locali, la luce delle osterie è spenta. Rientreremo a casa senza quel breve momento conviviale che più che il senso alcolico della cosa, rappresentava per molti l’unica occasione di socialità. E’ triste certo ma…

Abbiamo idea di cosa abbiano passato gli abitanti di Stalingrado durante l’assedio? O i profughi che nel 1917 hanno dovuto scappare dalla Carnia lasciando qui tutto perchè gli austriaci avevano sfondato il fronte e stavano per arrivare nei nostri paesi?

Forse, paragonando il presente a questi eventi magari finiremo per concludere che non sta andando proprio così male e che ne verremo fuori come tutte le altre volte, quando generazioni delle quali non ci è rimasto nemmeno il nome, alla fine di ogni pestilenza imbiancavano a calce le pareti delle chiese un po’ perché altri disinfettanti non si conoscevano ma anche per dare un segno con tutto quel candore: l’idea che si ricominciava.


Se tu pensi alla storia degli avi pieni di grazie
é questa ad essere la formula stessa
(da Vita di Milarepa)