domenica 17 ottobre 2021

Val del Lago: valle degli e(o)rrori e problemi autostradali - di Franceschino Barazzutti


Il viadotto del lago di Cavazzo
    «Persiste la formazione della lunga fila di automezzi costretti a rimanere fermi o procedere a passo d’uomo tra il casello di Gemona e quello di Amaro dell’autostrada Palmanova-Tarvisio A23 al punto da essere costantemente citata nei comunicati radio relativi ai punti critici della viabilità nazionale. Una situazione che non fa onore al nostro Paese stante l’importanza di questa arteria e l’utenza principalmente internazionale. Una situazione che crea notevole disagio anche ai friulani, i quali per evitare il rischio di rimanere imbottigliati in quel tratto di autostrada ormai utilizzano la viabilità ordinaria, anche se questa presenta all’inizio della SR Carnica 52 un tratto-gimkana a causa dell’incomprensibile protrarsi della chiusura del “nuovo” ponte cementizio sul fiume Fella al quale fa da supplente quello vecchio in pietra.

Non è la prima volta che sulla A23 si verifica tale criticità a causa di interventi principalmente nelle due parallele “gallerie del lago” ed anche sui due grandi viadotti paralleli che nella parte nord scavalcano il lago e la valle sconvolgendoli con una lunga teoria di enormi piloni alcuni dei quali piantati addirittura sul fondale del lago. Ma questa criticità in atto si protrae da troppo tempo, si dice a causa di interventi manutentivi o di consolidamento delle gallerie. Del resto che gallerie e viadotti rappresentino per loro stessa natura momenti critici lo conferma la casistica del sistema stradale nazionale.  

Invero tali frequenti criticità inducono a considerazioni di ordine più generale sul tratto autostradale che da Osoppo giunge al casello di Amaro percorrendo l’intera Val del Lago. Infatti il viaggiatore che percorre verso nord il tratto rettilineo tra Buja e lo svincolo di Gemona ha ben visibile davanti a sè che il percorso attraverso la valle del Tagliamento sarebbe il più diretto, a cielo aperto, il più breve, il più semplice, il più razionale, il meno impattante, il meno costoso, quindi di ovvio buon senso. Tant’è che la gente lo dava per scontato e che anche la bozza del Piano Urbanistico Regionale dell’assessore De Carli prevedeva proprio che da Osoppo l’autostrada proseguisse dritta dritta a cielo aperto lungo la Valle del Tagliamento per poi inoltrarsi nella Valle del Fella.

Accadde invece che in uno dei primissimi anni ’70 l’allora Presidente della Giunta Regionale Berzanti convocasse presso il municipio di Trasaghis i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali di maggioranza e di minoranza dei Comuni di Trasaghis e di Cavazzo Carnico ed annunciasse in modo perentorio che l’autostrada sarebbe passata attraverso la Val del Lago, aggiungendo, davanti alla sorpresa ed alle proteste degli amministratori locali, che anche lui, cioè la Regione, non poteva farci niente. E così si abbandonava il tracciato diretto per un altro ad arco ben più lungo e problematico. Di tale irrazionale decisione non venne data alcuna spiegazione per cui diversi furono i “si dice”, tra cui la volontà di Tolmezzo di avere l’autostrada ed il casello il più vicini possibile, i vincoli posti dalle alte autorità militari e persino la volontà di spendere comunque tutti i soldi già stanziati. Chi conosce il vero motivo parli!

Nella valle quindi si sviluppò un forte movimento popolare di opposizione che, con la parola d’ordine “autostrada funesta, alla Val del Lago non farai la festa!”, ebbe la sua punta più avanzata tra la popolazione del comune di Trasaghis ed in quella Amministrazione Comunale. Per contenere tale opposizione, dall’Alto fu avanzata la proposta di creare posti di lavoro attraverso la realizzazione di un’area di servizio sulla riva sud del lago, proprio quella più vocata alla fruizione turistica. Proposta – polpetta avvelenata – giustamente respinta poiché avrebbe comportato l’acquisizione di quell’area rivierasca da parte dell’autostrada e quindi di Autostrade spa dei Benetton.

Con l’autostrada si completava lo scempio della Val del Lago iniziato dalla Società Adriatica di Elettricità (SADE) negli anni ’50 con la costruzione della centrale idroelettrica di Somplago il cui scarico di acque gelide e torbide nel lago naturale con deposito di fango sul fondale, l’oscillazione del livello, l’erosione delle rive, la riduzione della superficie lacustre hanno decretato la morte delle varie forme di vita acquatica e dello stesso lago, mentre la valle veniva attraversata e snaturata dagli alti tralicci degli elettrodotti che portavano altrove la corrente rendendo ben visibile la completa sottomissione della valle all’idroelettrico.

Successivamente la Società Italiana dell’Oleodotto Transalpino (SIOT) stendeva la sua condotta lungo la valle con un tratto adiacente alla riva ovest, un altro sul fondale del lago e la stazione di pompaggio con relativo grande serbatoio cilindrico sulla riva nord, per poi attraversare il sistema di acque scaturenti dalla base della rupe di San Candido, fra l’altro dichiarata poi pericolante a seguito delle verifiche conseguenti al terremoto del 1976.

Visto che è in arrivo anche l’elettrodotto Wurmlach-Somplago, manca solo che – dato l’attuale revival – ci aggiungano anche una centrale nucleare!

Gli interventi realizzati nei tempi moderni dall’homo sapiens in quella che era una valle bellissima sono stati improntati non alla sapienza, alla saggezza, ma a ben altri meno nobili criteri, che hanno fatto della Val del Lago la Valle degli Errori. O meglio, degli Orrori.

Nel frattempo la fila degli autoveicoli continua a fermarsi o a procedere a passo d’uomo.

Franceschino Barazzutti, già sindaco di Cavazzo Carnico


  

domenica 19 settembre 2021

La donna che sussurrava ai cosacchi

 E' ancora visitabile per tutto il mese di settembre la mostra itinerante "AganArt - In giro per le frazioni" allestita a Ovaro nei due paesi di sinistra Degano

Traendo ispirazione dalla recente uscita del libro “Cosacchi in Friuli 1944-1945” in cui sono raccolte le immagini delle famiglie cosacche scattate da Sergio Gennaro durante gli ultimi mesi di guerra, Maria Grazia Paderi, artista di origini sarde naturalizzata in Carnia ha creato nel villaggio di Liariis una coreografia che rievoca le atmosfere dei giorni lugubri del 2 e 3 maggio 1945 nei quali gli invasori giunti dalla Russia al seguito dei tedeschi in ritirata hanno dapprima incendiato ed ucciso, andandosene poi lungo il percorso che conduce alla valle della Drava durante una bufera di pioggia e neve che preludeva al loro destino finale.

In mezzo ad un prato ecco dunque uno stanco drappello di soldati con i loro colbacchi ed i vecchi schioppi dati loro in dotazione dai tedeschi, che risale verso la Valcalda. Li segue un ufficiale a cavallo che rimane indietro forse presagendo il destino che gli sarà riservato.

 Stimolata dal risultato, l’artista ha poi  realizzato nel corso dell’estate un'intera esposizione di opere en plein air nei paesi di Lenzone e Liariis, vicinissimi al camping di proprietà comunale riaperto in questi giorni e a ridosso della salita che da Ovaro conduce migliaia di ciclisti fino alla sommità del Monte Zoncolan.

Tutte le opere sono realizzate con materiale vegetale su telaio metallico. I temi sono i più svariati andando da esemplari del mondo degli insetti dalle dimensioni colossali fino alla riproposizione di miti locali come quello della Mari da not che si nasconde all'interno di una grotticella a lato della Piazza Pantò.

Il proposito è ovviamente quello di coinvolgere e stupire lo spettatore, che viene invogliato a scoprire le due piccole frazioni seguendo l’itinerario indicato dal depliant che pubblicizza la mostra, realizzato a cura della Proloco Ovaro assieme allo striscione collocato all'ingresso del paese.



















lunedì 15 marzo 2021

"Hanno spartito fra loro le mie acque"

 

Non paghi di continuare a farsi gli affari loro senza tanto chiasso, o forse preoccupati per le polemiche generate dalle visibilità mediatica data alle vicende del Fella e del Degano nonché dalle ricadute negative che la discussione sul grande idroelettrico potrebbe avere anche sulle loro preziose concessioni, gli imprenditori idroelettrici del Friuli fanno sentire la loro voce attraverso una giovane donna che in meno di una settimana appare per ben due volte sulle colonne del quotidiano locale.

"Sono Lisa Di Centa, laureata in ingegneria meccanica e proprietaria di una concessione di derivazione d'acqua in Carnia". In Carnia: non specifica dove. Proprietaria di una derivazione d'acqua: non precisa da quando visto che nel curriculum del 2019 presentato in occasione della sua candidatura alle elezioni amministrative del Comune di Ampezzo dichiarava di essere studentessa.

L'operazione è trasparente: da una parte una ragazza studiosa, propositiva; dall'altra vecchi invidiosi, nemici del progresso che osteggiano la legittima volontà di mettere a frutto le risorse del territorio che sapientemente nel corso di anni e a prezzo di lunghi iter burocratici i pochi sono riusciti ad aggiudicarsi. L'assist arriva tempestivamente anche da parte della Presidente Gianna Cimenti: "Complimenti Lisa per l'articolo sul settore idroelettrico e Benvenuta nell'associazione degli imprenditori idroelettrici del Fvg!"



Dal colle della pieve che sovrasta Comeglians, salutata l'ennesima persona amica che ha lasciato la valle in una macchina troppo grande e che vi tornerà tra qualche giorno in un contenitore molto piccolo, passo a trovare Giorgio Ferigo che riposa nelle retrovie delle cappelle dei sorestanz sotto una lapide che ricorda certe superfici disegnate da Carlo Scarpa.

Mi affaccio oltre il muro del cimitero e sotto si apre -sempre sorprendente- lo scenario dei paesi raccolti ai lati del fiume o appoggiati ai terrazzi di mezza costa. Era una vista a cui mancavo da un po' e mi impressiona nel greto del Degano l'eclatante scarsità di acqua.

Se la larghezza dell'alveo è in stretta relazione con la portata del corso d'acqua, siamo quasi all'asciutto: in pochi anni siamo diventati le grave della Carnia

Questo è il tratto del fiume dove due società si proporrebbero di prelevare metà della portata per immetterla nella loro condotta e restituirla poco sopra il ponte che si vede laggiù in fondo. Non si capisce di quale acqua ragionino e -nella non concessa ipotesi- cosa resti.

La giovane imprenditrice seguita il suo intervento a stampa lamentando la demonizzazione dell' impiego idroelettrico del quale evidenzia il ridotto impatto e la favorevole ricaduta occupazionale. Spiega anche che gli impianti di piccola taglia sono l'ideale per dotare di energia elettrica malghe e rifugi e si chiede, in chiusura, perché ci si lamenti adesso dopo che per anni "tecnici competenti" hanno accompagnato il progetto nelle varie fasi dell'iter autorizzativo. 

A parte l'accostamento inconferente tra il generatore che può elettrificare un rifugio o una malga (può venire azionato da una tubazione da 100 mm.) e una centrale del costo di qualche milione di euro realizzata a soli fini di profitto da imprenditori che reinvestono nell'idroelettrico gli utili derivanti da altre attività (segherie, attività industriali) si sorvola completamente sul fatto che le nuove concessioni si sommano a quanto esistente e che proprio grazie ad annosi iter, concessioni che oggi con l'entrata in vigore del Piano Regionale di Tutela delle Acque probabilmente non verrebbero più rilasciate hanno invece già oltrepassato quel punto di non ritorno dopo il quale nemmeno la Regione, sollecitata dall'opinione pubblica può più intervenire.

Lasciate fare: pur definendosi mini, le centraline inghiottono vagonate d'acqua; spesso l'ultima residua in un fiume che tratto a tratto è stato ridotto ad una successione di prelievo-rilascio, prelievo-rilascio che inficia anche gli accorgimenti di mitigazione dell'impatto in quanto non si tiene mai conto della sommatoria degli effetti. Quanto al deflusso ecologico, poche volte una volta avviato l'impianto lo vediamo rispettato o fatto rispettare: è una sorta di foglia di fico applicata alle pudenda delle centraline per renderle accettabili. 

Ma volendo anche credere alla narrazione dell' ingegnera Di Centa: se questo idroelettrico è così vantaggioso, perché non lo realizza ad Ampezzo vicino a casa sua invece che a casa nostra?

Non sarà che come Consigliere comunale troverebbe arduo giustificare una simile operazione sul suo territorio alienandosi le simpatie anche dei 22 elettori che le hanno espresso preferenza nella consultazione?

Ma forse il motivo è tristemente evidente: in Val Tagliamento è stata preceduta e non vi è più altra acqua da utilizzare (V. tabella)