lunedì 3 dicembre 2018

Comunicato dei Comitati per la tutela acque del bacino montano



I dirigenti del Consorzio Acquedotto Friuli Centrale (CAFC) devono aver percepito il diffuso malcontento degli utenti della Carnia, Val Fella e Resia nei confronti della gestione del servizio idrico dopo che questo - espropriando le singole comunità della montagna - è passato prima dai Comuni a Carniacque e poi da quest’ultima al CAFC spogliando l’intera montagna della gestione del suo bene primario qual è l’acqua, centralizzandola in quel di Udine e in futuro nella bolognese multiutility Hera, già ora ben presente in regione.

Infatti dopo le legnate delle bollette salate cercano di mostrare un atteggiamento “benigno” verso la montagna disastrata dai recenti eventi calamitosi. Lo fanno annunciando con diversi comunicati agli organi d’informazione la rinuncia del CAFC al pagamento da parte degli utenti prima dell’acqua dei rubinetti per il periodo in cui a causa dell’alluvione mancava o non era potabile e, dopo qualche giorno, anche al pagamento delle quote per la depurazione.

Sorge una domanda: che cosa abbuona il CAFC agli utenti se a seguito dell’alluvione l’acqua del rubinetto non c’era o non era potabile e i depuratori non erano funzionanti? Nulla! Poiché non c’è stata prestazione e quindi nulla è dovuto dagli utenti. Il preteso “abbuono” del CAFC non può che essere considerato una trovata ridicola. Montanari sì, ma tonti no.

Anzichè simili “abbuoni” gli abitanti della montagna si aspettano un servizio migliore, tariffe incentivanti per viverci, una gestione decentrata a livello delle locali comunità o delle vallate in cui si articola la montagna friulana, sì da rendere gli abitanti attori e partecipi delle decisioni riguardanti un servizio vitale qual è quello idrico e l’acqua più in generale, bene comune. I bisogni delle comunità di montagna non si risolvono con il centralismo, ma con il decentramento a livello locale: lo insegna il Trentino Alto Adige dove il Comune gestisce l’intera rete idrica e quella fognaria interna all’abitato, stabilisce la tariffa e la incassa mantenendo così gli introiti in loco, mentre la Provincia gestisce la rete fognaria esterna e il depuratore.

Nel contesto montano non sono applicabili soluzioni “cittadine”. Ne sono un esempio i contatori applicati alle utenze negli abitati montani, che sono fonte di una molteplicità di problemi per l’utente in quanto facilmente soggetti a rotture a causa del ghiaccio con conseguenti disagi, perdite d’acqua, maggiori costi, tanto più se l’installazione viene imposta dall’alto senza il coinvolgimento e la condivisione della comunità locale, come avviene nella Val Pesarina ed in tante altre località montane dove è regola storica che le utenze paghino il servizio idrico a forfait.

C’era un fondamento logico rispondente alla specificità della montagna se da quando, tanto tempo fa, si è passati dall’erogazione dell’acqua alla fontana del paese a quella alle utenze singole, se gli amministratori comunali che si sono succeduti hanno adottato il pagamento a forfait. Era ed è un fondamento nella cultura montanara, che è cultura dell’acqua.

I giusti principi ed intenti della Carta della Montagna appena presentata dalla nuova Giunta Regionale, tra i quali primeggiano l’ascolto e la condivisione della gente, richiedono che i gestori di servizi pubblici in montagna non operino… a modo loro. Il compito della politica è quello di semplificare la risoluzione dei problemi dei cittadini, non di complicarli. A maggior ragione se, abitandovi, “tengono” territori disagiati non abbandonandoli ai cinghiali e agli orsi.

Comitato tutela acque del bacino montano del Tagliamento. Tolmezzo

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